L’Università di Catania rende omaggio a Stefania Noce

Un’aula del Monastero dei Benedettini dedicata in suo onore

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Catania – 13 febbraio 2011: la villa Bellini e la via Etnea di Catania avevano ospitato, in occasione della Giornata della Mobilitazione Nazionale delle Donne, la manifestazione “Se non ora quando?” ed erano diventate per un giorno il degno palcoscenico in cui donne di tutte le età, ma soprattutto tanti uomini, dicevano no alla mercificazione del corpo femminile. Mariti, figli, fidanzati, padri che tenevano per mano le loro piccole: si respirava realmente un’aria di rivalsa, un palese rifiuto a chi si serve della dignità delle donne per trarne un proprio vantaggio, un proprio soddisfacimento. In questo cumulo di gente entusiasta e vogliosa di dare un segnale chiaro al riguardo, una ragazza nel suo piccolo partecipava a quella manifestazione e stringeva in mano un cartello bianco con la scritta “Io non sono in vendita”; una militante di 24 anni che di lotte del genere ne aveva già sostenute in precedenza e di cui amava parlare attraverso strofe poetiche e articoli di protesta; in mezzo a quella folla era solo una voce tra tante, una voce che ben presto sarebbe diventata un urlo di dolore, di rabbia. Quella ragazza si chiamava Stefania Noce, studentessa di Lettere moderne, uccisa il 27 dicembre del 2011 a Licodia Eubea, insieme al nonno Paolo Miano, dal suo ex fidanzato Loris Gagliano, come conclusione impietosa di una relazione tra i due giovani che durava da oltre due anni, ma che Stefania non voleva più continuare. Assassinata dunque per motivi passionali si direbbe, o per un raptus di follia; beh, il problema che sta al nocciolo della questione sembra derivare proprio da queste affermazioni, che tentano invano di dare una motivazione plausibile ad un gesto del genere, quando in realtà non c’è nessuna ratio che possa riuscire a spiegare perché un uomo innamorato di una donna sia disposto a toglierle la vita e a sopportarne il peso come se nulla fosse. C’è solo una parola che può racchiudere una tale azione, ed è femminicidio, un problema troppo spesso diffuso a livello teorico ma che ha pochi strumenti utili per essere affrontato; sono quasi 120 in Italia le donne uccise in dinamiche simili e sono milioni quelle che ogni giorno subiscono violenze fisiche e psicologiche da fidanzati, compagni e mariti. Frequentemente si cade nell’errore grossolano di considerare una tale piaga sociale come un qualcosa lontano dalla propria persona, di difficile attuazione: come sostiene Serena Maiorana, che ha scritto e pubblicato un libro su Stefania Noce dal titolo “Quello che resta”, il caso in questione smentisce coloro che ritengono che un omicidio così efferato dipenda soltanto dai contesti difficili e culturalmente bassi in cui alcune donne sono costrette a vivere; nel suo racconto, la ragazza viene descritta da chiunque l’abbia conosciuta come una donna forte, determinata, con una profonda coscienza sociale e una grande voglia di mettersi in discussione.

È con questo spirito che proprio oggi alle ore 17.00 la trafficata aula A2 dell’ex monastero dei Benedettini dell’Università di Catania verrà intitolata in memoria di Stefania Noce, dopo una strenua battaglia intrapresa tre anni fa dal Movimento studentesco catanese, di cui Stefania faceva parte, ma che spesso si è scontrata con l’iniziale immobilismo dell’ateneo. Quando la proposta venne deliberata dal dipartimento di Scienze umanistiche, i genitori della ragazza erano ovviamente entusiasti per l’affetto e il supporto ricevuto; alla propria figlia è stata intitolata anche un piazza di Licodia Eubea e un altro traguardo a cui essi aspirano è sicuramente la laurea ad honorem in Lettere verso cui i sacrifici di Stefania erano indirizzati. L’Università di Catania, che celebrerà l’evento alla presenza del rettore  Giacomo Pignataro e del direttore del dipartimento di Scienze umanistiche Giancarlo Magnano San Lio, ha sostenuto la scelta di inserire nella targa che verrà affissa al di fuori dell’aula una frase tratta da un articolo di Stefania intitolato “Ha ancora senso essere femministe?”, che dice: “Nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, né tantomeno di una religione”. È proprio così che i suoi amici, i suoi cari e le persone che l’hanno sempre stimata vogliono ricordarla e farla ricordare: una femminista, non solo una vittima.

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