Monreale, vescovo Pennisi: “La lotta alla mafia passa anche dalla Chiesa”
«La lotta alla mafia – scrive – passa , anche se non si esaurisce, attraverso un rinnovato impegno educativo e pastorale che porti ad un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti, ad una profonda “conversione” personale e comunitaria».
- Cronaca
- 26/03/2014

Il vescovo di Monreale, Michele Pennisi, ha firmato una riflessione sulla convesrione dei mafiosi. «Papa Francesco nella veglia per le vittime della mafia ha terminato con un accorato appello ai mafiosi che si rifà al vangelo:” Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi… Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. E’ quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi”. Per il presule la Chiesa, particolarmente nella predicazione e negli interventi autorevoli, non può limitarsi alla denuncia del fenomeno mafioso, per la prevalente preoccupazione di parlare all’opinione pubblica, ma deve rivolgere il pressante appello e dare un vero aiuto alla conversione, facendo prevalere la preoccupazione di parlare alle coscienze. «Urge formare una nuova coscienza di fronte alla mafia. Una nuova mentalità sarà in grado di creare una reale cultura “antimafia”: qui la Chiesa deve ravvisare il campo specifico del suo intervento propositivo ed educativo». Per Pennisi è compito della Chiesa sia aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’ humus dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo, capace di creare una cultura antimafia fondata sulla consapevolezza che il bene comune è frutto dell’apporto responsabile di tutti e di ciascuno.
«La lotta alla mafia – scrive – passa , anche se non si esaurisce, attraverso un rinnovato impegno educativo e pastorale che porti ad un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti, ad una profonda “conversione” personale e comunitaria. La Chiesa, in forza della sua stessa missione, non può non rivolgere anche ai mafiosi l’appello alla conversione e, quindi, mettere in atto quei passi che possono condurre i singoli mafiosi a tale conversione. Tuttavia essa deve vigilare affinché l’esercizio del ministero di annuncio della misericordia di Dio non sia strumentalizzato dal mafioso, ad esempio durante la sua latitanza, e non si configuri, di fatto, come copertura o favoreggiamento di quanti hanno violato e talvolta continuano a violare la legge di Dio e quella degli uomini». L’arcivescovo di Monreale analizza criticamente il fatto che, spesso, vari mafiosi si ritengono membri della Chiesa a pieno titolo, nient’affatto fuori della sua comunione, nonostante la loro appartenenza a quella “struttura di peccato” che è la cosca mafiosa. «Nel suo appello alla conversione la Chiesa non può non fare presenti le esigenze proprie della conversione cristiana. La conversione non può essere ridotta a fatto intimistico ma ha sempre una proiezione storica ed esige comunque la riparazione». Per Pennisi nel caso del mafioso, la conversione non potrà certo ridare la vita agli uccisi, ma comporta comunque un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia, fonte costante di ingiustizie e violenza; anche con l’indicazione all’autorità giudiziaria di situazioni e uomini, che se non fermati in tempo, potrebbero continuare a provocare ingiustizie. La mancanza di una tale indicazione da parte del mafioso convertito, oltre a configurarsi come atto di omertà, sembra ignorare il dovere della riparazione. Lo slogan «pecca confessati e continua a peccare», per Pennisi, ha poco a vedere con la dottrina cattolica.
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